Faliscjis

L’universo della memoria era patrimonio speciale dei nostri avi, un po’ per necessità (il materiale scrittorio costava e la capacità di scrivere era saltuaria), ma anche per un modo di vivere, quando il tempo era ritmato dalle campane, dal ciclo liturgico, dai Santi, e soprattutto dalla luce, prevalente, del sole.
Il fuoco era dono, privilegio, fortuna.
Donne e uomini dialogavano con questi elementi.
Il fuoco, per le donne, non aveva segreti; forse, a volte, poteva accendere la poesia, ma era soprattutto il quotidiano lavoro di casa, durissimo, ripetitivo, già felice se si poteva svolgere.
Fuoco continuo per cuocere; più vivo per riscaldare velocemente: da irraggiamento per cotture lente e intense: a più funzioni, possibilmente, compresa l’utilità vitale di luce e calore.
Per l’uomo, la sagra perenne della luce era nella bottega del fabbro: la farie, per creare domando il ferro con l’aiuto del fuoco.
L’oscurità, e il linguaggio del ferro, mediato dal suono, e dal suo rosseggiare che spiegava i momenti vitali per maglio e martello.
Faliscjis di allegria intensa col lesino che durava, o effimera con fascine, ramaglie, sarmenti... Falischis produttive nel vitale lavoro del fabbro.
Qui, in questo lavoro di Carlo Dorligh, la parola ancora sa offrire significati: quello dantesco, che le fa produrre altro fuoco o, all’opposto, fine di una particella di luce, momento di splendore, l’avvio alla immaginazione.
Mai la lingua friulana è stata a un bivio come oggi: entrare a pieno titolo nella vita di tutta la società (visioni di antico razzismo, pavesate di affetto, la vorrebbero confinata entro le mura domestiche), o sparire in progressiva decrepitezza, sempre più nuda di parole e di forme.
La raccolta di testimonianze così semplici o alte, come quelle offerte da questo mazzo di fiori di campo, con qualche orchidea, è nata da faliscjis raccolte in Troi di Mindusiis, un libro (1988) di quasi vent’anni fa. Era a più mani: idee, poesie, sintesi di storia e memoria: immagini della bellezza che la vita offre perfino in momenti duri.
Lo aveva ideato: Max de Pelka, non perché del passato si facesse un mito, ma per conoscerlo, capirlo per entrare più intimamente nel fluire della vita umana.
Di faliscjie in faliscjie, si era fatto rivivere, recitare, ricreare, filmare, e sedimentare tutto nella parola scritta.
A chi legge di getto, l’insieme potrebbe sembrare un guazzabuglio, appena fascicolato dal curatore, per un ordine logico.
E invece sono squarci di vita: raccontano di gente che ha faticato infinitamente di più di noi: infinitamente di più ha sofferto, ma che ha saputo cogliere al volo attimi di felicità, esprimere desideri logici o impossibili, porsi le grandi domande della vita: sperare: riprendersi dalle cadute; rinascere dalle eclissi di umanità che sono state le guerre.
Una raccolta del genere effettuata cinquant’anni fa avrebbe potuto dare assai di più. Quello che rimane è un vero miracolo; il raccontare la conte, la storie è soprattutto al femminile. Si sente che i testi di poesie, versi (prevale la villotta) hanno girato nei paesi della pieve di Chiopris (Viscone, Medeuzza, Nogaredo al Torre e la stessa Chiopris), ma coi matrimoni, i viaggi, la migrazione interna e all’estero, gli apporti sono stati assai diversi.
Intonazioni varie; livelli poetici disparati: dal nonsense in umili canti di questua o in elementari suppliche per la salvezza eterna, al canto nobile che si dispiega gioioso nella canzone natalizia Staitmi atents, o che vede l’anima spalancarsi nel drammatico colloquio della creatura con il suo Creatore, i1 Cristo in croce. Una sarabanda di sentimenti, desideri, carnalità, sensualità diffusa sgorga  in lunghe sequenza di villotte, con situazioni di vita che procedono rasoterra.
Poi i vertici della spiritualità.
Per gli studiosi altro materiale, con qualche novità: tante conferme: varianti; sprazzi di versi altrui. poi rimaneggiati.

Per la gente, una occasione in cui dialogare con il tempo e magari arricchire il patrimonio che la memoria trattiene per ridonarci il ieri, che è sempre indispensabile a progettare il domani.